La pinsa nasce nell’Antica Roma

La leggenda della pinsa inizia nell’antica Roma.

Gli Dei restavano a guardare ma ai Romani interessava davvero poco: l’importante era che l’offerta fosse gradita ai sacerdoti, una delle caste che nell’Urbe faceva il bello ed il cattivo tempo. E quella pinsa, sulla quale si poggiavano verdura, piccoli pezzi di carne o frutta, piaceva tanto, nel tempio di Giove, a sacerdoti e vestali: una scottatina al fuoco dell’ara e, tirato il velario, il pranzo era pronto.

La schiacciata (pinsa da pinsère, schiacciare, pestare) veniva da fuori le mura, dai contadini della campagna romana che impastavano cereali, sale ed erbe aromatiche, e mettevano sui carboni ardenti quella focaccia bassa e ovale. I cereali che venivano usati erano per lo più miglio, orzo, avena e, solo successivamente, il farro.

Il farro è stato molto importante perché progenitore dell’attuale frumento.

Selezioni e incroci tra diversi tipi di farro portarono infatti al frumento che divenne presto il cereale più importante. I Romani utilizzavano molto anche il farro che chiamavano “far”, da cui forse l’attuale termine di farina che si ottiene, come noto, dal grano duro o tenero.

Sicura antenata della pizza è proprio la focaccia di epoca romana, sottile e ovale e realizzata con il farro. Come descritto da Virgilio nell’Eneide, i Romani la utilizzavano come piatto per servire alcune carni gocciolanti di sugo.

Virgilio descrive anche la fatica del contadino che macina una certa quantità di chicchi di frumento, setaccia la farina che ha ottenuto, la impasta con acqua, erbe aromatiche e sale e ne ottiene una focaccia sottile che fa poi cuocere al calore della cenere su una pietra. Enea, racconta Virgilio, fu tra le prime cose che addentò appena sbarcato a Lavinio.

In un’altra occasione racconta come si può ottenere un intingolo con cui farcire un sottile disco di pasta: basta pestare in un mortaio menta, semi di finocchio, coriandolo, pepe, ruta, formaggio fresco e una salsa ottenuta mettendo in salamoia pesci ed erbe aromatiche nota come garum. Poi il forno completerà l’opera.

Il termine pizza deriva quindi molto probabilmente da “pinsa”

Deriva in particolare dal participio passato pinsum (o pistum) del verbo latino pinsere, che significa schiacciare, macinare, pestare. Oggi, con una operazione di archeologia gastronomica, un esperto tecnico della panificazione e pizzeria romana, Corrado Di Marco, ha riportato alla luce la pinsa dell’antica tradizione latina.

La pinsa del Terzo Millennio è ancora più digeribile della sua illustre antenata, perché la miscela di farro e kamut egiziano è stata sostituita da farina di frumento tenero (altamente proteica), farina di soia e farina di riso, tutte rigorosamente non ogm.

Inoltre la lievitazione a biga invertita – procedimento antico usato dai nonni del Di Marco, esperti panificatori da generazioni – ha dato vita ad un prodotto di successo che le pizzerie laziali e non solo offrono al consumatore: la bontà della pasta compete con la qualità dei condimenti, e la leggerezza e la digeribilità non hanno rivali dal punto di vista dietetico.
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